VIII Domenica T.O. anno C
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Un discepolo non è più grande del suo Maestro

Lc 6,39-45

Gesù fa alcune riflessioni di sapore sapienziale. La nostra vita dev’essere vissuta con saggezza e buon senso, altrimenti prende direzioni sbagliate e finiamo male. La prima cosa che si richiede è di scegliere bene il proprio maestro. Senza maestro non si apprende la sapienza, senza un maestro ci manca un’esperienza adeguata. Dobbiamo approfittare dell’esperienza dei maestri.

«Può forse un cieco guidare un altro cieco? Non cadranno tutti e due in un fosso?»: se scegliamo come maestro un cieco, cioè una persona ignorante, che non possiede la vera saggezza, allora certamente incorreremo in grandi pericoli e rovine personali.

«Un discepolo non è più del maestro, ma ognuno, che sia ben preparato, sarà come il suo maestro». Gesù si rivolge alle molte persone che lo avevano attorniato e lo seguivano per diversi motivi, come precisa l’evangelista. C’erano i suoi discepoli e c’era gente che veniva, oltre che per ascoltarlo, per essere guariti e liberati (Lc 6,17-18). Egli sottolinea l’importanza di scegliere il maestro giusto, da prendere come esempio di vita per diventare come lui. Le sue parole ci spingono a guardare a Lui, a scegliere Lui come nostro Maestro e compagno di viaggio nella vita. Lui è l’unico Maestro pieno di sapienza divina. Soltanto i maestri che imparano da Lui possono guidare bene, a loro volta, gli altri fratelli.

Le parole di Gesù ci spingono anche a fare attenzione ai falsi maestri. Nel nostro mondo sono molti quelli che si ergono a guide, gente famosa e piena di soldi, che pretende di conoscere la vera direzione, il vero orientamento della vita, ma in realtà persegue solo i propri interessi. Noi non dobbiamo mai perdere di vista Gesù. Lui solo ci guida verso la pienezza della vita, della felicità, della pace. Ci possiamo fidare pienamente sempre e solo di Lui.

Poi Gesù rivolge una domanda, usando un’immagine simbolica paradossale: «Perché guardi la pagliuzza che è nell’occhio del tuo fratello e non ti accorgi della trave che è nel tuo occhio?». Dobbiamo riconoscere che spontaneamente noi siamo portati ad essere indulgenti verso noi stessi ed esigenti con gli altri. Invece, dovremmo fare il contrario: essere esigenti con noi stessi e indulgenti con gli altri. Noi, forse perché pensiamo di conoscere il nostro io e le varie circostanze che spiegano il nostro comportamento, tendiamo a giustificarci, accampiamo sempre qualche scusa. Invece quando giudichiamo gli altri, non potendo leggere il loro cuore, li giudichiamo dall’esterno e siamo portati a farlo con severità. Gesù ci mette in guardia contro questa tendenza, perché nuoce molto alla carità. Se siamo indulgenti verso noi stessi ed esigenti con gli altri, allora ci saranno sempre tensioni, incomprensioni, conflitti nella vita della comunità e della parrocchia. Invece, se siamo esigenti con noi stessi e indulgenti con gli altri, la vita nella comunità cristiana sarà vissuta nella pace, nella gioia e nella comprensione reciproca.

Gesù poi porta avanti la sua immagine simbolica: «Come puoi dire al tuo fratello: “Fratello, lascia che tolga la pagliuzza che è nel tuo occhio”, mentre tu stesso non vedi la trave che è nel tuo occhio? Ipocrita! Togli prima la trave dal tuo occhio e allora ci vedrai bene per togliere la pagliuzza dall’occhio del tuo fratello». Facciamo fatica a vedere la trave che si trova nel nostro occhio, mentre vediamo con facilità la pagliuzza che di trova nell’occhio del fratello. Dovremmo essere preoccupati di togliere prima la trave dal nostro occhio, cioè correggere i nostri difetti, il nostro comportamento, e allora potremo vederci bene nel togliere la pagliuzza dall’occhio del nostro fratello. Aiutare gli altri con qualche consiglio o con qualche osservazione è sempre utile, ma dev’essere fatto con umiltà. Mentre osserviamo e facciamo notare al nostro fratello un difetto, dobbiamo essere consapevoli di avere anche noi i nostri difetti. Così viene praticata la carità, come ci insegna S. Paolo: «Portate i pesi gli uni degli altri» (Gal 6,2), cioè siate indulgenti, comprensivi.

L’ultima parte del vangelo di oggi riguarda i frutti. Gesù afferma: «Non vi è albero buono che produca un frutto cattivo, né vi è d’altronde albero cattivo che produca un frutto buono». Dobbiamo essere sempre attenti a ciò che manifestiamo all’esterno, perché «la bocca esprime ciò che dal cuore sovrabbonda». Se siamo sempre pronti a criticare gli altri, vuol dire che il nostro cuore è cattivo. Allora non sono gli altri cattivi, ma noi. Se avessimo un cuore buono, troveremmo sempre il modo di scusare gli altri, d’incoraggiarli, di difenderli. Chiediamo allora a Gesù di darci un cuore nuovo, di trasformare il nostro cuore di pietra in cuore di carne, donandoci il suo Santo Spirito (Ez 36,26-27). Il cuore nuovo è quello di Cristo; lo spirito nuovo è lo Spirito Santo.

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