IV domenica di quaresima – ANNO C
IV domenica di quaresima – ANNO C

IV domenica di quaresima – ANNO C

Quando era ancora lontano, suo padre lo vide,

ebbe compassione, gli corse incontro, gli si gettò al collo e lo baciò

Lc 15,1-3.11-32

I farisei vivevano separati dal resto degli uomini. Il nome della loro sètta proprio significa puri, separati. Gli scribi erano i teologi che teorizzavano sul loro stile di vita. Cercavano sempre nuove applicazioni della Torah (Legge di Mosè) che poi i farisei mettevano in pratica. Ambedue i gruppi erano talmente seri e compìti che non si ricordavano mai di gioire, neanche mentre mangiavano.

Proprio sotto i loro occhi, preferibilmente di sabato (era proibitissimo guarire di sabato!) Gesù compiva guarigioni e liberazioni, accoglieva peccatori e prostitute. E, quello che era assolutamente inconcepibile per una mente farisaica, era che pure mangiava volentieri con loro. Banchettare insieme era un chiaro segno di comunione. Qui la faccenda si faceva veramente grave! C’era bisogno di una spiegazione. Gesù gliela dà, a modo suo, raccontando una parabola. Un uomo aveva due figli (v.11) Dio è un padre che ha molti figli (alcuni miliardi!), ma sono tutti figli “unici”, uno diverso dall’altro con una sua propria storia e un suo proprio modo di rispondere all’amore del Padre. Per quanto sta a Dio, questa è la sua lettera di presentazione, queste le sue referenze: è Padre. Se tu capisci che Dio è Padre, hai capito tutto di Dio, sei entrato nel suo mistero, nel suo cuore. Se tu accogli Dio come Padre, hai trovato la vita. Vivi nella sua casa. Per questo Gesù accoglie tutti quei figli che vanno da Lui e mangia insieme, nella casa del Padre, nel cuore del Padre.

Ma Gesù prosegue il racconto parlando dei figli e la storia si complica. Perché il figlio più giovane decide di andarsene? È sfacciato, dispettoso, crudele, egoista. Si sente soffocare nella casa del padre. Desidera respirare un’aria diversa. Chi gli ha reso l’atmosfera irrespirabile? Si comporta come se il padre fosse già con un piede nella fossa: pretende di avere la sua parte di eredità già da ora. Il padre non parla. Il figlio fa tutto da solo: decide, ordina, prende, parte… Si allontana. Fa la vita che piace a lui. Si allontana sempre di più dalla casa del padre fino ad andare a finire… in un porcile. Più in basso di così il ragazzo non poteva arrivare! Allora rientra in sé stesso e afferma con verità: “Io qui muoio di fame!”. Gesù mangia con i peccatori perché questi sono morti di fame! Dopo che ha perso tutto, il ragazzo si accorge che nel suo cuore è rimasto il padre e si ricorda che il pane di lui è più buono e sazia più delle carrube dei porci.

Al ritorno, quanto è commovente e imprevedibile la corsa dell’anziano padre che, dimentico della sua dignità, sotto gli sguardi trasecolati della servitù, si mette a correre come un ragazzino e si fionda addosso al giovane porcaro, stringendolo tra le sue braccia! Il Padre non vede davanti a sé uno straccione puzzolente peccatore insolente, ma vede suo figlio: “Questo mio figlio era morto ed è tornato in vita, era perduto ed è stato ritrovato”. Fuori di sé dalla gioia, ordina subito il migliore banchetto; dà inizio ai festeggiamenti con musica e danze…senza aspettare il figlio maggiore che tornava dai campi! Il figlio sgobbone e bacchettone che conosce tutti i regolamenti della casa paterna di cui si è autoeletto rigido custode, forse aveva tirato un sospiro di sollievo quando si era allontanato il fratello. Era rimasto solo lui, il puro, il santo, accanto al padre. O meglio, ad occuparsi delle cose del padre. Infatti, era fuori anche lui. Sempre nei campi a svolgere il suo servizio. Lui non se n’era andato ufficialmente, però il suo cuore era molto lontano da quello del padre. Quando viene a sapere che il fratello è tornato e che per questo il padre ha organizzato una festa, va su tutte le furie, non vuole partecipare.

Quando il padre esce in cerca del figlio maggiore (v.28), questi apre il registro della sua contabilità personale e snocciola tutti i suoi meriti (a somiglianza di un tale fariseo Lc 18,9-14!).Un figlio con la mentalità da schiavo. Il padre per lui è un padrone a cui obbedire e da cui attendersi una ricompensa (misera!). Facciamoci un esame di coscienza, noi, cattolici praticanti. È per noi una gioia servire il Padre e vivere in comunione con Lui? O sentiamo la mancanza di un capretto…? Figlio, tu sei sempre con me e tutto ciò che è mio è tuo! Questo è l’argomento del Padre: Figlio, tu sei sempre con me. Tutto ciò che mio è tuo (non solo un capretto). La nostra gioia sta in questo? Altrimenti è meglio che andiamo a farci un giretto fino alla casa dei porci! La gioia è l’epifania dell’amore. Da questosi vede che una persona si sente amata e ama: dalla gioia. Altrimenti, hai voglia tu a convincere che ami! La gioia è il sintomo di un cuore palpitante, generoso, pronto al perdono, all’accoglienza… un cuore vivo insomma, non di pietra, ma di carne. Il Padre è prodigo proprio in questo senso: ha un cuore traboccante di amore e pronto alla gioia. Lui sa valutare le cose nel modo giusto: un figlio perduto e ritrovato è un morto tornato in vita. Siamo pronti a partecipare alle sue feste di perdono e riconciliazione?

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