PADRE, PERDONALI,
PERCHÉ NON SANNO QUELLO CHE FANNO!
Lc 22,14-23,56
L’amore di Dio per gli uomini in Gesù giunge alla pienezza, alla vetta più alta: innalzato sulla Croce, il Crocifisso perdona, giustifica, salva. L’Innocente misericordioso muore così come è vissuto: «Avendo amato i suoi, li amò fino alla fine» (Gv 13,1).
L’evangelista Luca non accenna alla presenza fedele, affettuosa, partecipativa e consolatrice delle discepole donne ai piedi della croce! Il discepolo di Gesù viene rappresentato da un inedito personaggio, anonimo, che incontriamo solo in questo vangelo.
«Crocifissero lui e due malfattori»: i romani avevano l’abitudine di crocifiggere in gruppo, per rendere l’esecuzione più plateale e intimidatoria. I due malfattori non sono semplicemente ladri. La condanna della crocifissione era prevista per i ribelli, schiavi o eversivi. Sommosse fatte dai giudei contro il dominio dei romani erano all’ordine del giorno e venivano sempre soffocate nel sangue (cfr. 23,19). L’evangelista Luca li classifica come “kakourgos” (mal-fattori), delinquenti, forse omicidi. Gesù, già abituato alle cattive compagnie, non si è certo sentito a disagio per questo!
«Gesù diceva:“Padre, perdonali, perché non sanno quello che fanno”»: durante le crocifissioni le grida di dolore, le urla strazianti, le maledizioni lanciate dai condannati sono facilmente immaginabili oltre che comprensibili. Inaspettatamente, invece, l’urlo di dolore di Gesù si trasfigura; diventa intercessione, richiesta di perdono fatta al Padre, giustificazione. Anche qui, in questa situazione Gesù perdona e giustifica l’empio che si scaglia contro di lui.
Le reazioni di chi sta ai piedi della croce si diversificano. Il popolo assiste passivo. Questo stesso popolo, che era stato beneficato dagli insegnamenti e dai miracoli di Gesù, lo aveva osannato alle porte di Gerusalemme. Ma ora non lo riconosce più! Prima aveva addirittura chiesto la sua condanna, barattandolo in cambio di Barabba. Ora sta a guardare inerte, attonito, perplesso. Perché Gesù non si difende? Perché non mostra ora tutta la sua potenza salvando sé stesso? I capiformulano in modo dotto e teologico le stesse domande. Costruiscono un gioco di parole sul significato del nome “Gesù” (Dio salva, il Salvatore). Si rifanno alle più pure teorie sul Messia (Cristo), l’eletto di Dio: egli non poteva essere che un Messia trionfatore. Passare di vittoria in vittoria era il destino dell’eletto di Dio, la dimostrazione che Dio lo aveva scelto. I soldati romani non ricorrono alla teologia, ma volentieri si aggregano agli scherni dedicati a questo re da burla: si è mai visto un re che non si difende? Loro ne avevano conosciuti di re che mandavano allo sbaraglio tutte le loro truppe pur di mettersi in salvo!
«Questi è il re dei Giudei»: la scritta posta sopra la testa del Crocifisso sposta l’attenzione dalla base della croce alla sommità, dove riprende il dialogo. In quella scomoda posizione non si possono fare lunghi discorsi. Si va all’essenziale ed è subito finito. Erano due i crocifissi insieme a Gesù. Stavano più o meno alla stessa distanza. Vedevano e udivano le medesime cose. Ma uno ha capito, l’altro no. Uno ha visto l’altro no. Cosa c’era da vedere? Un uomo che soffriva i loro stessi dolori, provocati dagli uomini. Un uomo che ha mescolato alle sue urla di dolore non le maledizioni, ma il perdono. Un uomo che veniva insultato, stando in silenzio. La reazione dei due è completamente diversa. Il primo si unisce agli insulti di coloro che sono ai piedi della croce. Il secondo, invece, in una posizione così scomoda, ha il tempo di guardare dentro sé stesso, alla luce di Colui che sta in mezzo a loro, briganti assassini. E capisce tutto. Tutto ciò che la folla, i capi, i soldati, i discepoli non avevano capito. Nel coro degli insulti, il secondo malfattore diventa l’unico difensore di Gesù, che, dopo aver perdonato, sembrava non aver più niente da dire. Rimprovera il suo compagno facendogli presente una cosa molto importante: “Noi siamo colpevoli, Lui no. Noi ci meritiamo una morte ignominiosa, Lui no. Lui non ha fatto niente di male, mai”. Come poteva sapere un brigante che Gesù era l’Innocente? Da che cosa aveva capito che Lui non aveva peccato? Dal suo perdono, dalla sua smisurata misericordia. Dal suo silenzio. Egli vede Dio nel crocifisso. E capisce anche che non tutto finirà lì. No, la morte non avrà l’ultima parola. Gesù gli stava porgendo il suo Regno, che non è di questo mondo. Ed entrano insieme. «Chi mi vuole servire, mi segua e, dove sono io, là sarà anche il mio servo» (Gv 12,26).