VI Domenica T.O. anno C
VI Domenica T.O. anno C

VI Domenica T.O. anno C

«Beati voi, poveri,

perché vostro è il regno di Dio!»

(Lc 6,17.20-26)

Nel vangelo di Matteo, Gesù sale sul monte per proclamare le beatitudini. Luca, invece, nel vangelo di oggi parla di un luogo pianeggiante: le parole di Gesù risuonano a un livello più basso. La pianura è il luogo dell’umano, dove Gesù, buon pastore, si prende cura delle sue pecore, le risana, le nutre, le fa riposare. Le beatitudini sono solo quattro (nove in Matteo) e sono correlate con quattro “guai!”. Sono più dirette: “voi!”. Sono più improntate al sociale: “poveri” (non “poveri in spirito”); “affamati” (non “affamati di giustizia”!).

Chi sono i poveri al tempo di Gesù? Si può dire grosso modo che la popolazione della Palestina, paese sotto l’occupazione dei romani, era divisa in tre classi: i ricchi, la classe media e i poveri. I ricchi sono la minoranza costituita da alti funzionari che gravitano intorno al governo centrale, grossi commercianti, latifondisti e i sommi sacerdoti, che gestivano il tesoro del tempio. Tutti questi avevano un tenore di vita sfarzoso, per il lusso delle abitazioni e delle vesti, lo spreco dei banchetti e dei ricevimenti (Lc 7,25; 16,19-28). All’estremo opposto si trovava una massa di poveri costituita da braccianti, salariati, schiavi e mendicanti che vivevano di beneficenza. I braccianti erano i precari del tempo, giornalieri o stagionali, legati a un lavoro saltuario e senza tutele giuridiche (lavoratori in nero, si direbbe oggi!). Alla categoria, già numerosa, di poveri vanno aggiunti i malati, i ciechi, i sordi, i lebbrosi, che per le loro menomazioni, non erano in grado di provvedere a sé stessi ed erano destinati a vivere di accattonaggio. La classe media era formata da artigiani (come Giuseppe e Gesù), piccoli commercianti (come Simon Pietro, suo fratello Andrea, Giacomo e Giovanni) che avevano un modesto giro di affari. Tutti costoro erano oppressi da tasse e tributi pesantissimi, tramite i quali si mantenevano i ricchi. Quando Gesù parla di “poveri” si riferisce proprio a coloro che sono privi di beni materiali e che dipendono dall’assistenza pubblica o dall’elemosina privata. Il suo messaggio, la lieta notizia della salvezza divina, è rivolta prima di tutto (o quasi esclusivamente) ai più disgraziati: prigionieri, schiavi, indebitati; ciechi o oppressi da varie malattie e infermità (Lc 4,18). Tutte queste miserie sono ben concrete ed è difficile “spiritualizzarle” senza svuotarle di significato. A tutti questi miseri, Gesù dichiara: “Voi siete felici!”. Perché? Perché a loro appartiene il Regno di Dio, cioè Dio stesso, Gesù. Gesù è la proprietà di chi non ha niente. Gesù è il cibo che sazia l’affamato ed è la gioia per chi piange. Gesù è la felicità dei poveri.

E i ricchi? È erroneo dire che il contrario della beatitudine è la maledizione. Dicendo “guai!” ai ricchi, Gesù vuole semplicemente dichiarare una situazione riprovevole, iniqua, nella quale essi si sono cacciati. Finché sono ricchi non possono avere Gesù, perché non lo vogliono, non ne hanno bisogno, non gli danno spazio. Sono tutti occupati ad accumulare ricchezze (Lc 12,13-21). La ricchezza riempie i loro cuori e le loro pance. Sepolti sotto montagne di denaro, muoiono chiusi in sé stessi e soli. Ma Gesù porta la buona novella anche a loro: c’è il rimedio per la loro situazione. Sono i poveri! Tutto il vangelo secondo Luca e gli Atti degli apostoli sono colmi di questo prezioso appello: distribuite le vostre ricchezze ai poveri! Condividete i vostri beni con chi non ha nulla! “Dà a chiunque ti chiede e a chi prende del tuo non richiederlo indietro” (6,30); “Date e vi sarà dato” (6,38). Il discepolo di Gesù deve farsi prossimo di chi è mezzo morto perché incappato nei briganti che gli hanno preso tutto. Non deve barricarsi dietro maschere di spiritualità e di religiosità mal intesa e mal interpretata (cfr. la parabola del Samaritano: Lc 10,29-37). La condivisione e la generosità, l’attenzione al fratello bisognoso caratterizzavano le prime comunità cristiane (At 4,32-35). S.Paolo si fa promotore di collette in favore dei poveri, in modo che ci sia un travaso di ricchezze dalle più benestanti comunità ellenistico – cristiane verso quelle più indigenti di Gerusalemme (1Cor 16,1-3). “Essere ricchi in generosità è un servizio sacro, una liturgia per il cristiano. Grazie a Dio per questo suo ineffabile dono, il dono di poter essere generosi, il dono di dare!” (cfr. 2Cor 9,11-15). Perciò “ciascuno dia secondo quanto ha deciso nel suo cuore, ma non con tristezza né per forza, perché Dio ama chi dona con gioia” (2Cor 9,7).

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